“Siamo alla ricerca di un taxi, ci potrebbe aiutare?”
Ci avviciniamo ad un tassista di una certa età, con la pancia prorompente che tira un po’ troppo sotto l’abito giallo paglierino ed il viso solcato dagli anni e soprattutto dal sole.
E’ in piedi accanto alla sua auto, davanti ad uno dei palazzi attorno Al Alam Palace, ed è evidente che sta aspettando anche lui qualcuno. Il viso ha un’espressione dolce, rassicurante.
Siamo nel cuore della vecchia Muscat e attorno a noi i taxi presenti sono tutti in attesa di turisti scesi per scattare una foto al coloratissimo palazzo del Sultano Qaboos, pronti ad accompagnarli verso la prossima meta.
Abbiamo camminato per circa 17 chilometri lungo la Corniche.
L’ultimo sorso d’acqua ci è scivolato in gola sotto l’ombra di una panchina del Museo Nazionale e rientrare a Mutrah compiendo per la seconda volta la stoica impresa non ci sfiora nemmeno lontanamente la testa, ormai arsa dal sole e dai 35 gradi.
Ci fa segno di aspettare e mentre aspettiamo – qualcuno o che accada qualcosa – ci intrattiene con le domande di rito sulla nostra provenienza e su cosa visiteremo in Oman, fino a quando dal grande portone del palazzo bianco alle nostre spalle appare un uomo alto e robusto in abiti occidentali, occhiali a specchio e il portamento carismatico di chi si sente a suo agio in qualsiasi situazione.
Ed è così che ci siamo ritrovati a condividere la strada del ritorno, fino al mercato del pesce, con un uomo dall’inglese perfetto, che ha tutta l’aria di essere un diplomatico, mentre fa scorrere velocemente le email sullo schermo del proprio blackberry e ci chiede da dove veniamo e dove ci porterà il nostro viaggio in Oman.
“Al Mutrah Hotel, per favore”
“M-u-t-r-a-h Hotel” ripete il tassista dall’espressione interdetta mentre cerca impacciato sul navigatore del cellulare.
“Sì, M-u-t-r-a-h Hotel vicino al M-u-t-t-r-a-h souq” ripeto mostrandogli velocemente l’indirizzo sul mio. “M-a-t-r-a-h!”
Tre traslitterazioni diverse per lo stesso luogo penso siano troppe.
“No, no” risponde facendomi capire di non mettere via il telefono perché sta ancora copiando l’indirizzo.
Ed è così che rimaniamo fermi 5 minuti fuori dal Al-Qurm Park a bordo di un taxi nuovo di zecca con i sedili rivestiti di plastica ed avvolto da un gradevole profumo di franchincenso e da un silenzio imbarazzante. Alla guida, un volenteroso wanna-be a taxi driver arrivato nella Capitale da un paio di giorni il quale, dopo averci chiesto da dove veniamo e dove ci porterà il nostro viaggio in Oman, ammette di non conoscere quasi per nulla la città.
Il nostro taxi finalmente si fa largo tra il traffico di Muscat in maniera un po’ impacciata, tra colpi di clacson altrui ad ogni cambio di corsia e la ricerca di un nostro cenno di conferma ad ogni svolta, in un viaggio che mi sembra infintamente lungo.
All’arrivo l’imbarazzo si dissolve e il nostro autista prima ci chiede di stabilire il compenso per la sua prestazione spiazzandoci un po’ e poi si mette a contrattare. Alla fine si accontenta di un Rial in più e ci porge il suo bigliettino da visita offrendosi come tassista esclusivo per i giorni a seguire.
Avremmo avuto bisogno di una settimana per visitare Muscat con lui, penso.
“Partiamo domani” ci limitiamo a rispondere all’unisono.
***
In Oman la professione del tassista è riservata agli omaniti e spesso rappresenta una fonte di guadagno secondaria.
Girando per il Paese si ha l’impressione che tutti posseggano una macchina bianca a strisce arancioni: i taxi sono ovunque, si incrociano lungo le strade nelle zone più isolate e li si vede parcheggiati anche fuori dalle case dei villaggi più remoti.
Nelle strade di Muscat sono onnipresenti, sempre pronti ad attirare l’attenzione del turista a suon di clacson, anche quando questi è intento in tutt’altra faccenda.
Per tutelare le proprie finanze, la parola d’ordine è contrattare e, una volta saliti a bordo, è difficile non ritrovarsi coinvolti in una piacevole chiacchierata.
A meno che non si abbia un auto a noleggio, il taxi è il miglior modo – nonché l’unico – per spostarsi a Muscat, ma è anche un’occasione da sfruttare per un primo confronto con la cultura omanita e farsi strappare un sorriso da qualche piccolo imprevisto lungo la strada.
Siamo in due allora: io mi faccio intortare facilmente e contrattare è un’imposizione che faccio a me stessa dopo qualche giorno che sto in posto, quando mi rendo conto che qualcuno probabilmente mi ha fatto fessa!
Sono sempre questi piccoli imprevisti le cose più belle da ricordare di un viaggio, specialmente in una terra così diversa dalla nostra 🙂 ammetto che avrei qualche difficoltà, non sono molto brava a contrattare, anzi direi proprio che mi farei fregare bene bene!