Fino ad un anno e mezzo fa passavo le mie giornate a rincorrere treni regionali; condividevo con altre 5 persone una delle poche stanze sopravvissute all’abbattimento brutale di ogni muro al grido open space è figo e, divenuta insensibile al suo fascino, odiavo Fontana di Trevi che attraeva orde di turisti imbambolati, contro i quali dovevo sgomitare ogni giorno per andare a mangiare.
Dopo aver lavorato quasi 10 anni in una multinazionale nel cuore di Roma e dopo diverse crisi isteriche scatenate da pendolarismo ed esposizione a colleghi esauriti, il sogno di lavorare da casa si è avverato.
Massima flessibilità, tempi ottimizzati e nessuna paturnia altrui da sorbire.
Fantastico, penserete voi.
Dipende.
Dopo un primo momento di esaltazione per la mia nuova condizione da lavoratrice del futuro, mi sono scontrata con il risvolto della medaglia della mia nuova condizione.
Prima di tutto ho dovuto lottare contro una forma mentis – la mia – forgiata da una routine che, volente o nolente, aveva modellato ogni mia cellula e ritrovare un equilibrio ha richiesto più tempo di quanto mi aspettassi.
In secondo luogo, con la solitudine, perché se è vero che lavorare in una grande azienda a volte implica di dover trascorrere la maggior parte del tempo con persone che a fine giornata vorresti strangolare con il filo del telefono, è altrettanto vero che molti rapporti nati in ufficio si trasformano in bellissime amicizie che continui a frequentare oltre le 18.
Infine, con la necessità di riconoscere il valore del proprio lavoro e farlo riconoscere dagli altri, perché l’associazione nessun cartellino da timbrare + lavorare da casa con non hai nulla da fare scatta nella testa di molte persone, le quali si sentiranno titolate a piombarti in casa in qualunque momento e tempestarti di chiamate per essere accompagnate da qualche parte.
[Tour de Montparnasse, Parigi – uffici che mi fanno invidiare chi ne ha uno]
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Dopo un primo periodo di confusione mentale che, a volte, sfociava in crisi esistenziali durante le quali mi mancavano i tacchi, i colleghi esauriti e Fontana di Trevi invasa dai turisti – i treni regionali, quelli mai! – ho trovato il mio equilibrio adottando 5 regole che mi hanno aiutata ad apprezzare di nuovo il privilegio di avere un lavoro flessibile, che mi permette di lavorare da casa.
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Crearsi uno spazio
Cari nomadi digitali che potete vantarvi di mandare avanti un’azienda dall’ombra di una palma su una spiaggia di Krabi, io vi invidio. Profondamente.
Ho provato a lavorare comodamente sdraiata sul divano, distesa sull’erba del parco dietro casa, su una poltrona di pelle sdrucita di uno Starbucks e mi sono sentita estremamente indegna di tanta flessibilità.
Nonostante fossi abituata al caos che si crea con 6 persone che per il 90% della giornata lavorativa sono al telefono, ho capito di avere il bisogno di uno spazio mio dedicato esclusivamente al lavoro, nel quale riorganizzare le mie cose e trovare la concentrazione.
Essere da soli e in casa propria moltiplica esponenzialmente le occasioni di distrazione: crearmi una postazione fissa dove “se sono qui è perchè devo lavorare” e dove posso chiudere la porta lasciando fuori tutto il resto, telefono privato compreso, mi ha aiutato a fare ordine dentro e fuori dalla mia testa.
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Multitasking, no grazie
Se c’è una cosa che assolutamente non rimpiango del mio vecchio lavoro è il tempo che impiegavo per raggiungere l’ufficio: lavorando da casa, ho guadagnato all’incirca 3 ore al giorno e questo, inizialmente, mi ha spinto a pensare di avere davanti giornate infinite, durante le quali sarei riuscita a fare tutto e bene.
Ma questa storia che siamo predisposte geneticamente al multitasking è una grossa fregatura: la tentazione di alzarsi dalla sedia 10.000 volte per accendere la lavatrice mentre aspettiamo che tizio risponde all’email e stendere i panni mentre al telefono caio ci ha messe in attesa – tanto per fare un paio di esempi – e la strada migliore verso l’esaurimento nervoso.
Il fatto di essere a casa, infatti, insinua nella nostra mente e in quella di chi ci sta attorno il pensiero che tutto il ménage familiare debba ricadere necessariamente sulle nostre spalle, come se il non dover recarsi in ufficio faccia perdere il privilegio di essere aiutate.
Il risultato? Un atteggiamento lascivo da una parte e la crisi – mia – per un appartamento spesso incasinato, nonostante io stia a casa.
Farsi dare una mano – almeno da chi condivide con noi lo stesso tetto – non è solo un modo per alleggerirsi di alcune incombenze domestiche, ma è anche il riconoscimento dell’esistenza del nostro duplice lavoro, anche di quello che facciamo davanti al computer, tutti i giorni, stando a casa.
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Rispettare la pausa pranzo
All’inizio di questa nuova esperienza, non avendo nessun collega che mi ricordasse di andare a pranzo, finivo puntualmente col tirare avanti fino a pomeriggio inoltrato senza mangiare nulla.
Il risultato? Un gran mal di testa e ore preziose sprecate a guardare il monitor con la concentrazione sotto zero.
Mi ci è voluto un po’ per capire che ritagliarmi un’ora per la pausa pranzo non è uno spreco di tempo, ma è un investimento sulla produttività nelle ore pomeridiane.
Allora ho iniziato a puntare una sveglia per ricordarmi di dovermi alzare e a programmare la mia pausa, privilegiando tutto quello che mi faccia uscire di casa, come un pranzo veloce con un’amica o una passeggiata nel parco.
Riuscire a rilassare la mente, ossigenarla e distenderla è importante per mantenere la concentrazione; allontanarsi da casa per un’ora è necessario per non sentirsi isolati dal resto del mondo e gli stimoli esterni, infine, sono fondamentali per generare nuove idee, non solo in un lavoro creativo.
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Vestirsi
Il gravoso compito di trovare ogni sera la giusta combinazione di tacchi, camice e tailleur, tenendo conto di meteo, riunioni e umore, non esiste più.
La tentazione di rimanere comodamente in pigiama tutto il giorno all’inizio era dietro l’angolo, farlo è stata la liberazione da ogni forma costrittiva di etichetta sociale.
Il pigiama era la rivendicazione dell’essere sull’apparire, la risposta alle email che ogni tanto l’Ufficio del Personale inviava massivamente per ricordarci come ci si veste, nel caso la questione del casual friday fosse sfuggita di mano a qualcuno.
Tutto fantastico, fino al momento in cui ti ritrovi a fine giornata davanti allo specchio con la stessa faccia di quando ti sei svegliata ed hai l’impressione di non aver combinato nulla tutto il giorno. La cosa più deprimente è la sensazione che non sei solo tu a pensarlo, ma anche il tuo compagno e il corriere al quale hai aperto la porta stamattina.
Preparasi come se si dovesse uscire, oltre ad invogliarci a farlo veramente [magari per pranzo], è una sorta di dichiarazione di ufficialità di inizio lavori: è inutile negarlo, anche l’apparenza ha la propria importanza e darsi un – piccolo – tono aiuta noi stesse e chi ci guarda a dare valore a quello che facciamo.
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Programmazione
Io sono sempre stata convinta di avere una memoria di ferro ed essere molto brava ad organizzare il mio tempo.
Cambiando attività, invece, mi sono resa conto che la mia efficienza dipendeva in buona parte dall’abitudine al lavoro, dall’agenda elettronica mia ed altrui, dalle email e dalle chiamate dei clienti, che giocavano un ruolo fondamentale nello scadenzare i ritmi della mia giornata.
Quando tutto dipende da te, la faccenda si complica parecchio.
A volte la libertà diventa un boomerang dall’effetto di ritorno devastante: il rischio di iniziare 10 attività diverse senza portarne a termine una o il procrastinare all’infinito quella che mi piace di meno è sempre dietro l’angolo.
La tentazione di non darmi degli orari inizialmente ha preso subito il sopravvento, fin quando la mancanza di regole mi ha mandata in confusione.
Io ho bisogno della sveglia che suona la mattina, di stabilire che da quell’ora a quell’ora devo dedicarmi al lavoro, che il resto lo posso fare da una certa ora in poi, che quel determinato giorno della settimana posso dedicarmi un po’ di più al blog.
Quando si lavora da casa, l’autodisciplina è una dote fondamentale, ma anche le to-do list possono venirci incontro.
E allora ho preso l’abitudine di finire la giornata pianificando su un block-notes le varie attività per il giorno dopo: questo mi ha aiutato tantissimo a tenere traccia delle cose fatte e, soprattutto, a quantificare in anticipo il tempo che mi rimane per dedicarmi ad altro o concedermi una pausa pranzo più lunga per uscire, finalmente, da casa.
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Tu hai mai lavorato da casa? Hai altri suggerimenti per vivere al meglio questa esperienza?
Ti piacerebbe farlo o preferisci andare tutti i giorni in ufficio?
Esattamente… a volte si lavora meglio in mezzo alla gente, forse perché ci si sente più stimolati. Gli spazi coworking sono un’ottima idea, devo cercarne uno e, come te, andarci almeno una volta a settimana. Magari la situazione migliora!
Ho letto solo ora questo post, e l’ho letto proprio nel momento giusto… perché per la maggior parte del tempo lavoro da casa e ancora non ho deciso se lo amo o lo odio. Ci sono giorni in cui desiderio con tutta me stessa un ufficio, dei colleghi, una pausa caffè, un posto dove nessuno della famiglia possa chiedermi niente perché sto lavorando. Poi capita di sentirmi sollevata, perché in fondo ho la libertà di potermi gestire senza rendere conto ai “capi”. Ma spesso – come in questo periodo – sono inquieta. E conosco benissimo il mostro della distrazione… iniziare cento cose e perdere un sacco di tempo… ancora non ho trovato un mio equilibrio. Ho provato a lavorare nei caffè, ma in Italia non c’è l’atmosfera giusta, mentre riesco a farlo quando sono all’estero. Insomma, è bello scoprire che non sono da sola in questa avventura!
Assolutamente Ilenia. Sai, più mi confronto con persone che lavorano da casa, più mi rendo conto che questa situazione, apparentemente idilliaca per chi lavoro in un ufficio affollato come me fino a qualche tempo fa, non è poi cosi perfetta. La soluzione sarebbe alternare giorni a casa a giorni in altri posti, come coworking o biblioteche: l’azienda per la quale lavoro ha un ufficio in uno spazio coworking ma non ci sono mai andata perché non vicinissimo a casa, ma la settimana scorsa l’ho fatto per provare e mi si è aperto un mondo, mi ha fatto sentire meglio. Sono riuscita a fare più cose nel casino che c’era che nel silenzio di casa nel doppio del tempo. Ho deciso che ci andrò almeno una volta a settimana, perché mi carica anche per il giorno dopo che lavorerò da casa, ma ci sono voluti quasi due anni per capirlo.. 🙂
Eeeeh sì, io lavoro da casa da un po’ e ho fatto sì con la testa almeno un milione di volte mentre leggevo questo articolo!! Alcune regole ce le ho nel sangue, come quella di vestirmi: non sto in pigiama né in tuta mai, neanche quando mi rilasso, quindi figuriamoci se lo faccio quando lavoro! Sono anche abbastanza brava a ritagliarmi delle pause per ossigenare il cervello…il mio tallone d’Achille, però, è la disorganizzazione! Faccio esattamente come dici tu: inizio 4/5 cose tutte insieme, poi mi perdo e cazzeggio, ne lascio indietro due, quella che non mi piace la relego alle ultime due ore prima della consegna…insomma, il caos!!
Ma esserne consapevole è già una buona base per migliorare, no?? 🙂
Un abbraccio 🙂
Sicuramente è già un passo avanti! Comunque hai colto in pieno: il caos più assoluto, tant’è che mi sono imposta una scaletta e mi congedo una pausa cazzeggio solo alla cancellazione di una voce 🙂 Un abbraccio a te!
ma sai che questo post è davvero utilissimo? Ora, io lavoro in ufficio come dipendente, ma sono part-time. Passo quindi abbastanza tempo a casa, che dedico in gran parte al “lavoro” legato al blog, e commetto molti degli errori citati.
Inoltre, non escludo che in futuro potrei cambiare lavoro e trovarmi quindi nella situazione di lavorare da casa, perciò mi sa che mi conviene iniziare sin da subito a far pratica seguendo i tuoi consigli!!
Io ci ho messo un po’ ad abituarmi alla mia nuova condizione: inizialmente l’idea mi faceva sembrare tutto super figo e, invece, non è facile imparare a “gestirsi”. Considerato poi quanto tempo porta via il blog, possiamo considerarlo un lavoro, anche se lo si fa per hobby: quindi sì, bannate anche nel tuo caso le cattive abitudini!