Al nostro arrivo in Islanda il cielo si presenta subito completamente velato da una spessa coltre di nuvole, non promettendo assolutamente nulla di buono, e un vento gelido che ci spinge ad indossare immediatamente le giacche da neve.
Me lo aspettavo il freddo, ma, da eterna ottimista, confidavo in un’accoglienza decisamente migliore.
Arriviamo in hotel e lasciamo i bagagli: sono ancora le cinque del pomeriggio e non si farà buio prima delle undici.
Decidiamo di infilare il costume sotto un paio di strati di lana ed andare alla vicina Bláa Lónið, ovvero la Blue Lagoon. Mentre siamo in macchina, ci rendiamo conto che il navigatore non serve: un enorme cono di vapore si innalza verso il cielo grigio nel mezzo di una pianura brulla indicandoci la strada.
Più ci avviciniamo e più rimango affascinata da questo luogo che sembra appartenere ad un altro pianeta. Una miriade di vasche di un bianco brillate si scambiano acqua dai riflessi turchesi, nel mezzo di un’infinita distesa di lava pietrificata.
E più ci avviciniamo e più aumenta la consapevolezza che senza una prenotazione sarà difficile entrare, visto il numero di bus che scaricano continuamente frotte di turisti.
Invece, dopo nemmeno un’ora, sopravvissuti allo shock di uscire all’aria aperta in costume con 10 gradi, siamo felicemente a mollo.
Ogni tanto scende una leggera pioggerellina, ma avvolti nel vapore e coccolati dal calore dell’acqua, non ce ne rendiamo quasi conto.
E’ sabato e ci sono molte persone, ma basta allontanarsi un po’ dalla vasca centrale per immergersi completamente in un’atmosfera onirica creata dal vapore che aggiunge altro candore a tutto il resto, sospesi nell’acqua lattiginosa che avvolge e nasconde completamente dal collo in giù.
La Blue Lagoon è sicuramente turistica, cara (l’ingresso semplice costa € 35,00 + 10 in più se in alta stagione) e l’Islanda è piena di pozze geotermali in cui immergersi, ma per me rimane un’esperienza irrinunciabile.
Il giorno dopo ci mettiamo in marcia, sotto la pioggia battente, seguendo la strada lungo la costa, prima verso nord per poi riscendere a sud, alla ricerca di un posto dove fare colazione. Maciniamo diversi chilometri e mi infilo invano in alcuni giardini arredati con troppa fantasia per appartenere – secondo me – a normali abitazioni, fino ad arrivare a Garður, un piccolo villaggio di pescatori, dove l’unico posto per prendere un caffè sembra essere il ristorante del museo delle tradizioni popolari, a pochi metri dai due fari che vegliano sul mare.
Lungo la 425 facciamo una sosta al Brú Milli Heimsálfa, ovvero il ponte tra i due continenti, il punto in cui la placca continentale nord-americana incontra quella europea. E’ suggestivo pensare al significato di questo canalone: mentre ci sono sopra, mi tornano in mente le convinzioni piuttosto fantasiose di me bambina che immaginava una faglia come un enorme crepaccio in cui si rischiava di cadere dentro fino al centro della Terra.
Ma ancora più suggestivo è il luogo che abbiamo incontrato qualche chilometro più avanti, deviando su una stradina sterrata: Gunnuhver, un’area geotermale i cui pinnacoli di vapore grigiastro si innalzano da un terreno dalle striature ocra, gialle e arancioni, tra i quali aleggia lo spirito malvagio di Gunna.
Poco più distante, ad abbellire lo sfondo di uno scenario di per sé già spettacolare, c’è un faro che campeggia solitario su una collinetta, al di la della quale, la furia del mare si staglia sulle pareti nere della scogliera.
Poco dopo saliamo finalmente di quota: l’asfalto serpeggia dolcemente per qualche chilometro sui fianchi delle colline, regalandomi un piccolo assaggio dei panorami che aspettavo con impazienza, per poi riscendere giù di nuovo lungo la costa attraverso paesaggi lunari, creati da colate di lava ricoperte da spessissimo muschio soffice come un manto di velluto.
Dalla costa facciamo una piccola deviazione verso l’entroterra per raggiungere Seltún, un’area geotermale che ricorda Gunnuhver ma meno suggestiva, fino ad arrivare a Kleifarvatn, un immenso lago che riempie una fenditura vulcanica, attorniato da spiagge di sabbia nera ed abitato da una creatura mostruosa.
Sulle sponde del lago il vento è talmente forte che, dopo qualche minuto, ci spinge alla ritirata.
Continua a piovere e continuerà a farlo anche al Parco di Þingvellir, ultima tappa della giornata e prima del Circolo d’Oro: quello che abbiamo davanti agli occhi, ovvero la cascata Öxarárfoss e la faglia di Almannagjá dalla quale la prima di lancia, è talmente bello che preferiamo tornarci all’indomani, riponendo tutta la nostra fiducia nelle previsioni meteo che promettono una giornata di sole.
E al nostro risveglio, il sole c’è.
mamma che freddo però!!! 🙂
Fortunatamente dal gelo all’acqua calda il passo è breve! 😉
Un racconto che fa sognare!
Deve essere stata un’esperienza meravigliosa. Per non parlare del bagno in quelle vasche…<3<3
Grazie Antonella! Tutta l’Islanda ci ha regalato esperienze bellissime, anche oltre le aspettative.. e la Blue Lagoon è una di queste!