Sognavo di vedere dal vivo la spiaggia di Muizenberg da quando ho visto la prima foto delle cabine colorate allineate sulla sabbia bianca, davanti ad un mare dalle sfumature turchesi.
Avevo immaginato un posto figo, uno di quelli in cui nulla è lasciato al caso, dove delle cabine colorate vengono installate per finire su Instagram, ci sono i bar alla moda, i bei ragazzi con i bicipiti gonfi che fanno surf e le belle ragazze dalle curve perfette in bikini striminziti. Una via di mezzo tra Malibù e Bondi Beach insomma, uno di quei posti che non fanno per me ma che sono maledettamente fotogenici e per questo finiscono tra le tappe imprescindibili di un itinerario lungo la Penisola del Capo.
Andandoci mi sono resa conto che Muizenberg in realtà non è nulla di tutto questo, quantomeno non adesso e non ancora: sicuramente lo è stato in passato – bikini striminziti a parte – e probabilmente tornerà ad esserlo, ma per ora questo bellissimo pezzetto di costa sudafricana è una fenice che lentamente sta tornando ad alzarsi.
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Alla fine del XIX secolo Muizenberg era il posto ideale dove tirarsi su la sottana e mostrare simpatici pantaloncini in stile vittoriano, in quello che era l’angolo di oceano indiano più alla moda dell’epoca e una delle spiagge più belle del mondo.
Le iconiche cabine colorate avevano appena fatto la loro apparizione sulla spiaggia e gli abitanti della Penisola del Capo non sognavano altro che trascorrere i loro weekend estivi qui.
Più precisamente, era il 1880 l’anno in cui Isidore Hirsch, un ebreo tedesco arrivato in Africa attratto più dai diamanti che dall’idea di probabili investimenti, decise invece di comperare una locanda nella zona in attesa che la ferrovia facesse il suo debutto a Muizenberg, cosa che avvenne un paio di anni più tardi, arrivando a collegare Cape Town a Simon’s Town entro la fine dello stesso decennio.
Hirsch installò sulla spiaggia le prime cabine e acquistò il piccolo bar all’interno della stessa stazione: nei weekend i capetoniani pagano fino a 6 rand per raggiungere Muizenberg in treno e comprare uno dei suoi cestini preconfezionati da picnic per la loro giornata al mare.
Già nei primi anni del ‘900 i frequentatori di Muizenberg avevano realizzato che cavalcare le onde a bordo di una tavola di legno era un modo divertente per godersi il mare e probabilmente il più noto fautore del surf fu il commediografo irlandese George Bernard Shaw, il quale fu fotografato mentre domava le onde all’alba dei suoi 75 anni. Ma la prima persona in assoluto a surfare lungo le coste sudafricane fu una donna: nel 1919 proprio sulla spiaggia di Muizenberg, Heather Price, una ragazza di Cape Town, raccontò di aver conosciuto due marinai statunitensi che le insegnarono a cavalcare le onde rimanendo in piedi su una tavola di legno.
Nonostante fosse improbabile trovarlo alle prese con la tavola da surf, anche Cecil John Rhodes, dopo la fine dell’assedio di Kimberley, scelse Muizenberg come ricovero per riprendersi dai problemi di salute che lo avevano attanagliato per tutta la vita e, mentre egli trascorreva i suoi ultimi anni in un semplice cottage a pochi chilometri dalla spiaggia, venivano poste le prime pietre dei vari hotel che in seguito costellarono la zona.
La costruzione di una nuova stazione con uno splendida torre dell’orologio nel 1913 decretò definitivamente l’importanza di Muizenberg come destinazione turistica per eccellenza: nel fine settimana più di 6.000 persone al giorno arrivavano da Cape Town a bordo di un treno, tra le quali si contò anche Agatha Christie, intenzionata a mettersi alla prova con la tavola da surf.
Il calendario era fitto di eventi tra regate, gare di nuoto, concerti sinfonici, spettacoli di cabaret e concorsi di bellezza – come il Miss Lucky Legs – spingendo sempre più imprenditori europei ad investire lungo l’African Riviera, i milionari ad acquistare ville da sogno e vacanzieri provenienti da tutti i Paesi confinanti a trascorrere l’estate in quella che ormai era conosciuta come la colonial Brighton.
L’epoca d’oro di Muizenberg durò fino agli anni ’50, quando l’attenzione del turismo si spostò verso la costa atlantica, dove nuovi investimenti avevano portato all’apertura di hotel moderni dotati di tutti i confort: i tanti bar e le attività commerciali vecchio stile tirarono giù le saracinesche una dopo l’altra, lasciando scivolare questo angolo di paradiso definitivamente nella decadenza può assoluta.
I 46 anni di apartheid contribuirono all’abbandono della spiaggia: Muizenberg era un luogo per bianchi, ma trovandosi circondata da sobborghi dove i neri, quindi i poveri e i diseredati, erano stati coattivamente collocati, ben presto non venne più frequentata, se non che da qualche surfista solitario.
Ma anche dopo la fine ufficiale dall’apartheid, la zona attorno a Muizenberg rimaneva la parte della montagna da evitare.
Dell’antico splendore di False Bay non erano rimaste nemmeno le ceneri: slum, piccole capanne di pescatori e qualche fattoria erano le uniche cose che si incontravano lungo una strada, ormai divenuta simbolo di un percorso difficile e doloroso, che portava da Cape Town a Simon’s Town.
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Da una quindicina di anni è in corso un progetto che sta portando alla riqualificazione dell’intera area.
Nuovi bar e ristoranti stanno facendo il loro ingresso sulla scena e una lunga opera di restauro sta rispolverando lo splendore Art Deco dei vecchi edifici coloniali per i quali Muizenberg si distingue, ma soprattutto diverse scuole sono state aperte per riportare il surf lì, dove tutto è cominciato.
Quanta nostalgia del Sudafrica. E’ forse il Paese che più mi ha colpito, perché non sapevo cosa aspettarmi e mi ha sorpreso con la sua bellezza, i suoi colori, i paesaggi incredibili. Grazie di questo fantastico scorcio, che mi ha riportato alla mente tanti bei ricordi!
Mi fa piacere Ilenia, grazie 🙂 Ho trovato il Sudafrica molto diverso dall’Africa a cui ero abituata (orientale) e all’inizio mi ha lasciata un po’ interdetta, ma alla fine – probabilmente è inutile che te lo dica – mi è piaciuto tantissimo. L’unico rammarico è esserci stata per troppo poco tempo.