Da Reykjavík ad Akureyri

Akureyri, la capitale islandese del nord, è la seconda città più grande dell’Islanda. Se ci si arriva dopo aver trascorso diversi giorni tra le lande desolate, muovendosi da un minuscolo villaggio di pescatori all’altro, può anche dare l’illusione di essere una piccola metropoli piena animata da una certa vita mondana, nonostante i 18.000 abitanti.

Akureyri non è particolarmente bella o, quantomeno, non ha quella forte personalità che si avverte passeggiando per le strade di Reykjavík.

Però, sarà per la cena deliziosa con vista porto attraverso la grande vetrata dello Strikid, durante la quale gli occhi di Mister si illuminavano all’attracco di ogni peschereccio con la scritta “whale watching” sulla murata (segno premonitore di quello che avremmo fatto – di nuovo – il giorno dopo); o per la bella giornata di sole che ha accompagnato la nostra passeggiata fino al giardino botanico o per il gesto gentile di una donna che ci ha ceduto parcheggio e disco orario per evitarci una multa, a me Akureyri è piaciuta molto.

Ricordi miei a parti, ci sono diversi buoni motivi per raggiungere la piccola cittadina del nord: è un’ottima base di partenza per un tour del Circolo di Diamante, si trova nella zona ideale per fare whale watching e può essere considerata come punto di arrivo di un itinerario alternativo che tocca la parte nord ovest del Paese, passando per la penisola di Snæfellsnes.

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Da Reykjavík ad Akureyri: cosa vedere

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Da Reykjavík ad Akureyri

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Djúpalónssandur

Una bellissima spiaggia di sabbia nera alla quale si arriva la strada 572, che attraversa un suggestivo campo di lava. Qui si trovano le pietre del sollevamento, utilizzate in passato per mettere alla prova la forza degli aspiranti pescatori: la più leggera pesa 23 chili e io non sono riuscita a sollevare nemmeno quella. La spiaggia è molto suggestiva per i pinnacoli di lava solidificata che la circondano in contrasto con la cappa bianca del vulcano Snaefellsjokull.

Kirkjufell

Il monte a forma di cono rovesciato, visibile già dal porto, da solo, è un ottimo motivo per arrivare fin quaggiù.

Fattoria di Bjarnarhöfn

Nel mezzo di un campo di lava, si trova il principale produttore di hákarl di tutta l’Islanda e relativo museo. Quello che volgarmente viene tradotto come squalo putrefatto è carne di squalo sottoposta ad un lungo processo di fermentazione che ne garantisce la commestibilità e la conservazione.. tutto sommato il sapore non è così disgustoso!

kirkjufell cascate islandesi
djupalonssandur
Islanda
Islanda

Helgafell

La montagna sacra dove, secondo le saghe islandesi, viveva l’eroina Guðrún Ósvífrsdóttir. Ancora oggi la gente del posto attribuisce ad Helgafell il potere di far avverare i sogni di chiunque vi salga. Ci troviamo a pochi chilometri da Stykkishólmur, un’area che mi è piaciuta molto per gli sconfinati campi di lava da una parte e il susseguirsi di lagune e barene dall’altra, nelle cui acque non è difficile scorgere in lontananza il relitto di qualche peschereccio.

Penisola di Vatnses

Abbandonare la comoda Hringvegur per la 711, non asfaltata e piuttosto tortuosa ne vale davvero la pena sia per la grande colonia di foche che si mimetizza tra la sabbia nera che per Hvítserkur, il faraglione alto 15 metri che, grazie alla forma particolare, sembra un grosso drago piegato verso il mare per abbeverarsi.

Hvítserkur Islanda

Kolugljúfur

Se proprio si è in astinenza di cascate, si può fare una breve deviazione sulla 715 per scattare qualche foto a questa che nasce dal fiume Víðidalsá: in foto appare molto più piccola e placida rispetto alla realtà, ma comunque non ti aspettare nulla di sconvolgente.

Islanda

Siglufjörður

E’ un villaggio di pescatori posizionato all’apice del fiordo che porta lo stesso nome, raggiungibile da Akureyri attraverso una serie di tunnel ad una corsia [strada 76]: la cosa può sembrare assurda, ma la visibilità è talmente buona che si ha tutto il tempo di accostare nell’area di sosta più vicina al fine di dare la precedenza a chi arriva dall’altro senso. Siglufjörður è un borghetto colorato raccolto attorno al porticciolo con un paio di ristoranti/pub che fino a mezzo secolo fa era raggiungibile solo o via mare o via terra a cavallo (o a piedi, ovviamente). E’ stata una sosta molto piacevole e alla fine abbiamo deciso di fermarci a mangiare qualcosa seduti ad un tavolo all’aperto, vista la bella giornata di sole. Ma fai attenzione perché ti si potrebbe avvicinare una bambina bionda a bordo di una biciclettina rosa che insisterà nel dirti che l’islandese non è una lingua difficile, basta ripetere ciò che dice lei.

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Tra le varie cose che in Islanda hanno stuzzicato la mia curiosità ci sono sicuramente le torfbæir, ovvero le pittoresche case di torba tipiche dei paesi del nord Europa ricoperte da un manto erboso, un perfetto isolante naturale contro il freddo ed il vento.

Nel corso dei secoli, le torfbæir hanno subito una serie di evoluzioni nella forma, ma la tecnica di costruzione è rimasta sempre la stessa: sono costituite da una struttura in legno, un rivestimento di torba per le pareti e i tetti, con pietre assemblate casualmente tra le pareti stesse. A differenza di altri Paesi però, in Islanda questa tecnica edilizia non è stata applica solo alle abitazioni – peraltro senza distinzione di ceto – ma anche a chiese e stalle.

Islanda

Islanda

Nella parte nord dell’isola si trovano due dei siti di maggiore interesse:

Glaumbær

Gli edifici più vecchi di questa grande fattoria risalgono a metà del 18° secolo, mentre le unità aggiuntive più recenti sono state costruite intorno al 1879. Complessivamente il sito conta 13 unità, tra abitazioni e locali tecnici.

La fattoria fu abitata nel tempo fino ad un massimo di 25 persone contemporaneamente, tra le quali figuravano il pastore della vicina chiesa e la sua famiglia, più vari operai ed inservienti.

Laufás

La parte più antica di questa fattoria risale al 1840 e nel corso degli anni ha ospitato fino a 30 persone e la sua caratteristica principale è la camera della sposa, dove la donna di turno si preparava al grande evento.

Francesca

Francesca

Amante del caffè in tutte le sue forme, l'importante è che sia rigorosamente senza zucchero. Expat seriale. Innamorata del mondo in ogni sua sfumatura e latitudine, ha perso il cuore in Africa, ma finisce col cercarlo sempre in altri posti. Ne parla poco, ma ha un debole per Londra e il Medioriente.

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